Nel cuore della natura selvaggia, dove la vita animale dovrebbe prosperare senza minacce inutili, si è verificato un atto di violenza scioccante e incomprensibile. L'orso M90, una maestosa creatura che vagava libera nei boschi, è stato ucciso senza alcun motivo apparente. Questo atto crudele solleva interrogativi sull'etica della convivenza tra l'uomo e la fauna selvatica e richiede una riflessione approfondita sulla conservazione della biodiversità.
L'orso M90 è stato abbattuto senza alcuna giustificazione plausibile. Gli orsi sono una specie protetta in molte regioni, e le leggi sulla conservazione della fauna selvatica dovrebbero garantire la sicurezza di questi animali. Tuttavia, nel caso dell'orso M90, la legge è stata ignorata, e il suo diritto alla vita è stato violato.
La notizia della morte dell'orso M90 ha scatenato indignazione e proteste da parte della comunità locale e degli attivisti per i diritti degli animali. La domanda principale è: perché uccidere un animale innocente che non rappresentava alcuna minaccia per gli esseri umani? La mancanza di risposte chiare ha alimentato ulteriormente la frustrazione e l'ira della comunità.
Questo triste episodio solleva interrogativi più ampi sulla relazione tra l'uomo e la fauna selvatica. La crescente urbanizzazione e la riduzione degli habitat naturali stanno costringendo gli animali selvatici a interagire sempre più con le comunità umane. È essenziale promuovere la consapevolezza e l'educazione per garantire una convivenza pacifica e sostenibile.
Il caso dell'orso M90 sottolinea anche l'importanza di politiche di conservazione robuste e applicate correttamente. Le autorità competenti devono rivedere e rafforzare le leggi che proteggono gli animali selvatici e garantire che vengano applicate in modo rigoroso. La conservazione della biodiversità è una responsabilità condivisa che richiede l'impegno di tutti.
L'uccisione ingiustificata dell'orso M90 è un dolore per la comunità della conservazione della fauna selvatica e solleva domande importanti sulla nostra relazione con il mondo animale. È fondamentale imparare da questo triste episodio e lavorare insieme per creare un futuro in cui gli animali selvatici possano vivere liberi, al sicuro e rispettati. Solo attraverso una collaborazione globale e un impegno attivo possiamo sperare di evitare tragedie simili in futuro e preservare la bellezza e la diversità della vita selvatica sulla Terra.
10 dicembre 2022
Si chiamava Mohsen Shekari e aveva 23 anni. È stato impiccato l’8 dicembre a Teheran, colpevole, secondo la giustizia rivoluzionaria, di aver “condotto una guerra contro Dio”.
Mohsen Shekari è il primo manifestante messo a morte dall’inizio della rivolta, alla metà di settembre.
Un tribunale del South Carolina ha giudicato incostituzionale la legge che aveva ripristinato i metodi d'esecuzione della fucilazione e della sedia elettrica per ovviare alla mancanza di medicinali per l'iniezione letale. Anche se rimango contrario alla pena di morte, almeno un po' di umanità anche nella violenza.
Zahra Sedighi Hamedani, 31 anni, ed Elham Choubdar, 24 anni, sono state condannate a morte per “corruzione sulla terra” dal tribunale di Urmia, capoluogo della provincia dell’Azerbaigian occidentale, nel nord-ovest dell’Iran.
Il giornale, diretto dal premio Nobel Muratov, ha comunque aperto una redazione online che lavora dall'Europa.
Salma al-Shehab, attivista per i diritti delle donne dell’Arabia Saudita, è stata condannata da un tribunale antiterrorismo a 34 anni di carcere, seguiti da 34 anni di divieto di viaggio. Il processo d’appello ha più che decuplicato la condanna a tre anni emessa nel primo grado di giudizio.
Si tratta della più lunga condanna emessa nei confronti di un’attivista per i diritti delle donne, un ulteriore segnale dell’escalation della politica del pugno di ferro contro il dissenso pacifico portata avanti dal principe della corona saudita Mohamed bin Salman.
Madre di due figli di cinque e sette anni, al-Shehab era stata arrestata nel gennaio 2021 mentre si trovava in vacanza nel suo paese. Pochi giorni dopo avrebbe dovuto prendere il volo di ritorno per il Regno Unito, dove risiedeva e dove era candidata a un dottorato presso l’Università di Leeds.
Nel processo di primo grado, i “reati” commessi da al-Shebab hanno consistito nella pubblicazione di post su Twitter, con cui chiedeva il rispetto dei diritti umani e la scarcerazione di un’altra attivista, Loujain al-Hathloul, poi scarcerata il 10 febbraio 2021.
Per giustificare lo spropositato aumento della pena nel processo di secondo grado, il giudice del tribunale antiterrorismo ha stabilito che al-Shebab “appoggiava coloro che cercano di causare disordini e di destabilizzare la sicurezza nazionale”. In che modo? Sempre attraverso Twitter: seguendo i loro account e rilanciando i loro post.